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UE fra pluralismo linguistico e lingua neutra

I primi elementi che unificano almeno formalmente una popolazione, dopo i sostanziali territorio e storia, sono quelli che più mettono in relazione fra loro le singole persone giorno per giorno: moneta, legislazione, lingua.
Non possiamo certo parlare ancora di una "popolazione europea": stiamo iniziando solo ora a tracciare una storia comune, entro uno stesso grande territorio, ma sicuramente di una cittadinanza europea, dove i cittadini si sono da poco dati un'unica Costituzione, effettuano operazioni economiche tramite la stessa moneta, anche se non parlano ancora una lingua comune.
E' questa forse l'abitudine, la connotazione etnica più difficile non solo da abbandonare, ma addirittura da affiancare ad un'altra.
Nel vecchio continente ci sono 225 lingue indigene fra cui le istituzioni comunitarie hanno scelto 20 lingue ufficiali, secondo il principio della parità linguistica che differenzia l'UE da ogni altra organizzazione internazionale. Parità linguistica vuol dire garantire a tutti gli Stati membri testi legislativi nelle rispettive lingue oltre all'accesso alle istituzioni dell' Unione. In questo modo tutti i cittadini hanno pari opportunità nel comunicare con essa spendendo relativamente poco per il servizio di interpreti in Parlamento, circa 3 euro pro capite l'anno.

Per renderci conto di quanto una lingua sia parlata nell'UE dobbiamo sommare la percentuale di coloro che la parlano già come lingua madre alla percentuale di quelli che la parlano abbastanza bene da poter sostenere una conversazione.
L' Inglese è al primo posto con il 47% di cui il 31% lo parla come seconda lingua. Seguono il Tedesco, prima lingua del 24% dei cittadini europei e seconda dell' 8% e il Francese, dove i due parametri raggiungono pari percentuali nel 28%. L' Italiano si colloca al quarto posto, parlato dal 18% dell' Europa, ma solo il 2% lo usa come lingua straniera. Il 15% parla lo Spagnolo, di cui l'11% come lingua ufficiale e il 4% come seconda lingua; l' Olandese si attesta al sesto posto con il suo 7%, mentre il 3% degli Europei parla Greco e Portoghese. Infine solo l'1-2% sanno parlare Danese, Svedese o Russo.
In complesso il 45% degli Europei sono in grado di conversare in una lingua diversa dalla propria, ma le differenze fra uno Stato membro e l'altro sono notevoli. Ad esempio i migliori poliglotti, forse anche per l'ubicazione delle istituzioni comunitarie, abitano il Lussemburgo e i Paesi Bassi, seguiti dai danesi e svedesi.
I meno inclini a parlare un' altra lingua si trovano invece in Regno Unito, dove probabilmente il primato di lingua più parlata all'estero ha sempre allontanato l'esigenza di parlarne un'altra, oltre che in Irlanda e in Portogallo, popolazioni da sempre particolarmente attaccate alle proprie tradizioni.
Per iniziare ad avvicinare concretamente queste frammentazioni linguistiche la Commissione europea ha messo a punto nel Luglio 2003 un vero e proprio piano d' azione che prevede 45 azioni da effettuare tra il 2004 e il 2006 in tre grandi settori: l'obbiettivo di fornire a tutti i cittadini attività di apprendimento linguistico per tutto l'arco di una vita, la necessità di migliorare la qualità di questo insegnamento a tutti i livelli, la necessità di creare in Europa un ambiente favorevole al pluralismo linguistico.
Ma c'è anche chi pensa ad un'unica lingua di lavoro in Europa, del tutto nuova, facile da imparare ed usare, che in questo modo garantirebbe a tutte le lingue la stessa dignità e non ne avvantaggerebbe nessuna a scapito di altre, una lingua neutra che prende il nome di Esperanto, con i suoi 115 anni di storia e parlata già da due milioni e mezzo di persone. La sua struttura è tipica delle lingue indoeuropee ma la sua morfologia è molto vicina a lingue come l'Ungherese e il Giapponese.


Chiara De Angelis

 
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