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Capolavori fatti a stracci

Sacchi sdruciti, legni consumati, ferri arruginiti, plastiche ammaccate. Relitti, rifiuti accatastati nello squallido cortile del carcere di Hereford, Texas, che avrebbero trasformato un medico italiano prigioniero di guerra, Alberto Burri, nel più grande artista italiano (e uno dei più grandi del mondo) della seconda metà del '900. Era il 1944. Tornato in Italia, Burri comincerà con la serie delle 'muffe', dei 'catrami' e dei 'gobbi' un intenso lavoro che avrà una decisiva influenza nell'arte contemporanea. A dieci anni dalla scomparsa, una mostra alle Scuderie del Quirinale a Roma: 'Burri. Gli artisti, la materia' (dal 17 novembre al 16 febbraio 2006), celebra il grande artista, la forza innovativa della sua opera e quella dei suoi eredi.

Curata da Maurizio Calvesi e da Italo Tomassoni, con la collaborazione di Lorenzo Canova, Chiara Sarteanesi, Rosella Siligato e Maria Grazia Tolomeo, la mostra presenta per la prima volta, con le opere di Burri, i lavori degli artisti che contemporaneamente e dopo Burri, hanno lavorato nel suo segno innovativo. Come Burri, anche Beuys, Rotella, Pistoletto, Rauschenberg, Schnabel, Twombly, Kounellis, César, Nicholson, Millares, Ceroli, Canogar, per ricordarne alcuni, sono stati alchimisti della materia. Ecologisti ante litteram, poeti della natura, amanti del detrito, hanno posto brandelli di legno e di stoffa al centro dell'opera d'arte. Per loro, come per Burri, il colore non era più sufficiente per esprimere la forza della creatività. Hanno fatto arte col gesso, la sabbia, il cemento. Beuys ha usato il miele, il feltro, la cera, la margarina, i frutti della terra. Quando Burri nel 1955 espose alla Quadriennale di Roma non fu capito neppure dai critici più sensibili all'arte contemporanea. E cinque anni dopo, il suo primo 'sacco' alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna provocò interpellanze parlamentari e perfino denunce all'Ufficio d'Igiene.

Invano. La grande innovazione si era ormai imposta: la materia, prima sottomessa alla forma, aveva guadagnato il primato nell'arte. E Burri aveva già fatto ben otto personali negli Stati Uniti e altrettante mostre nelle più importanti città europee.

La grande esposizione alle Scuderie comprende 21 opere di Burri. Undici degli anni Cinquanta: come il 'Grande sacco' del 1952; 'Rosso', del 1953, realizzato in plastica, olio, tela, bianco di zinco, polvere di pietra pomice, vinavil, combustione su tela; 'Bianco 56' del 1956, 'Ferro SP4' del 1959. Sono quadri di grandi dimensioni, dove traspare, scrive Enzo Siciliano nel catalogo della mostra (Silvana editore), "il senso di quel lavorio segreto, paziente che lega un pittore al proprio spazio di lavoro saturo degli odori, colle, polveri, inchiostri". Quattro sono le opere degli anni Sessanta, con due 'Rosso Plastica', del 1962, dove Burri usa la tecnica della combustione e 'Bianco Nero' del 1969, che l'artista aveva donato, assieme a tre serie di grafiche, alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Degli anni Settanta ci sono due 'cretti', opere realizzate con una mistura di caolino, vinavil e pigmento fissata su cellotex (materiale usato per la coibentazione dei tetti), dove Burri raggiunge una grande purezza espressiva: 'Bianco cretto C1' del 1973 e 'Grande cretto nero' del 1977. Per gli anni Ottanta è stato scelto un 'Cellotex' (1984). E tre opere degli anni Novanta, con 'Nero e oro' e due 'Cretto nero e oro' del 1994, realizzati su cellotex con acrovinilico e oro in foglia. Seconda attrattiva della mostra sono le 73 opere degli artisti vicini a Burri, che si sono ispirati a lui o che da Burri sono stati fortemente influenzati. Risultato: l'esposizione alle Scuderie riunisce alcuni dei capolavori dell'arte contemporanea.

A trionfare è la materia che gli artisti utilizzano per ogni tipo di assemblaggio, dal più semplice a quello più stravagante. Nelle tre opere in mostra di Anselm Kiefer c'è il piombo insieme alla felce; il piombo la fotografia e la grafite; il vetroresina, gabbia di ferro e animali in terracotta. In 'Gospel'(2004) di Damien Hirst entra in scena il mondo animale: sono usate ali di farfalla, assieme alla vernice. Impensabile l'uso di questi materiali senza la lezione di Burri. Fra le opere esposte, sconvolgenti i violini bruciati e fusi di Arman. Splendidi i monocromi blu di Klein: l'artista, nato a Nizza come Arman e morto a soli 34 anni, aveva sperimentato il primo monocromo con il corpo dipinto di una modella nuda impresso sulla tela. Robert Rauschenberg, presente con tre opere, ha conosciuto Burri a Roma nel 1952 e ha esposto nella sua stessa galleria, l'Obelisco. Vedremo anche una delle opere più note di Michelangelo Pistoletto, la 'Venere degli stracci', che è appunto fatta di marmo e stracci colorati (un altro omaggio a Burri). Anche una delle opere di Julian Schnabel, 'Pino Pascali', olio su pannelli di legno, è un tributo a Burri: rappresenta Pascali che guarda un quadro del maestro. A questi artisti e al rapporto con Burri è dedicato il saggio in catalogo 'Alberto Burri e i mutamenti dell'arte' di Maurizio Calvesi.


Rita Tripodi
L'Espresso

 
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