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Giampaolo Pansa, la patria morale e il Cuoco di Salò

Tanto clamore ha suscitato la pubblicazione del nuovo libro di Giampaolo Pansa "La Grande Bugia". Sono infatti diversi anni che il giornalista svolge una attività di ricostruzione storica con riferimento ad uno dei periodi più cruciali della storia italiana, che si colloca tra la fine del 1943 e la fine della guerra. Questa attività viene svolta da Pansa nel segno di un revisionismo storico che gli ha alienato la simpatia della quasi totalità delle associazioni di ex partigiani e in generale di tutti coloro che hanno da sempre considerato la Resistenza, come una Patria Morale.

Alla presentazione del libro a Reggio Emilia, c'è stata una vera e propri aggressione da parte di un gruppo di militanti di sinistra, con tafferugli tra i giovani e gli astanti che volevano continuare a sentire il racconto di Pansa. L'accaduto è stato condannato dalla quasi totalità del panorama giornalistico e politico italiano, anche dai quelli che Pansa considera appartenenti al così detto "Faro Resistenziale", una sorta di accordo tra i guardiani della resistenza, accusati dall'autore della "Grande Bugia" di un antifascismo miope e settario.
Senza entrare in questo campo di polemiche, ma con riferimento al pezzo apparso sulla "la Repubblica" del 29 settembre scorso e contenente un passo del su citato libro di Pansa, sorge l'esigenza di fare due considerazioni. La prima riguarda l'affermazione secondo la quale in Italia, anche dopo l'8 settembre 1943, ci sarebbero stati molti fascisti, più dei partigiani e degli antifascisti. La cosa non sembra possibile. Infatti, bisogna ricordare che se durante il ventennio c'e stata una generale adesione al regime fascista, ciò è dipeso dal fatto che il Fascismo richiedeva gradi di adesione esclusivamente esteriori, senza quella forma di lavaggio del cervello ideologico che forse si può ravvisare in Germania, negli stessi anni. A riprova di ciò va segnalata, durante il ventennio, la sopravvivenza di tante culture contadine prenazionali e preindustriali, collocabili prevalentemente nell'Italia centrale e meridionale. Queste realtà continuarono a vivere anche dopo la fine della guerra, fino almeno all'era del boom economico e al successivo spopolamento delle campagne, e considerarono lo Stato Fascista come un corpo estraneo, così come avevano considerato quello Piemontese e in precedenza quello Borbonico. Ma pur ammettendo che in Italia negli anni del Regime fossero tutti fascisti, bisogna dire che l'emanazione delle leggi razziali del 1938 mostrò quale fosse veramente la faccia del Fascismo.
Più delle squadracce, delle manganellate e dell'omicidio Matteotti, le Leggi Razziali rappresentarono per molti italiani, anche sinceramente fascisti, un risveglio amaro. Se si pensa, inoltre, che nel settembre del '43 gli italiani erano già al terzo anno di guerra, difficilmente si può credere all'affermazione di cui sopra. Fascisti, l'8 settembre di quell'anno, erano coloro che avevano svolto un ruolo all'interno del partito e coloro che appartenevano a quei gruppi sociali, che erano stati da sempre più vicini ai Fasci, soprattutto alcuni ambienti borghesi e piccolo borghesi dai quali partirono, a detta dello stesso Pansa, i giovani che andarono a combattere per la Repubblica Sociale.

La seconda affermazione, su cui si possono fare delle considerazioni, riguarda, appunto, la sorte di tutti quei giovani, che andarono a combattere per la Repubblica di Salò. Pansa afferma la necessità di non cancellare la loro storia. Essi, scrive il giornalista, si arruolarono nella RSI non per servire i tedeschi ma perché avevano degli ideali e fecero una scelta. Bisogna anche dire, però, che quegli ideali, per tutto quello che si è detto sopra, non solo non erano gli ideali dello stesso Giampaolo Pansa, ma erano anche ideali fallimentari. La scelta di quei giovani, che fu tra le cause della guerra civile, fu la scelta della parte sbagliata. Così come è perfettamente stigmatizzato dalle parole di Francesco De Gregari nella canzone Il Cuoco di Salò: "...Dalla parte sbagliata, in una bella giornata, si muore."


Goran Andreević

 
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