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Approvata la Riforma della Carta Costituzionale

Il Senato ha approvato la legge che cambia la nostra Costituzione. Con 170 sì, 132 no e 3 astenuti, arriva, accolto tra molte polemiche, l'ultimo voto che cambia l'assetto istituzionale dell'Italia.
Quello del Senato è il quarto e conclusivo voto sulla "devolution". La Camera aveva dato il via libera, in terza lettura il 20 ottobre. Il primo voto favorevole di Montecitorio era stato del 18 ottobre 2004 e ad esso era seguito, il 23 marzo 2005, quello del Senato. La Costituzione italiana viene abbondantemente cambiata: oltre 50 articoli vengono modificati. Nasce un Senato delle Regioni, viene introdotto il premier (non più Presidente del Consiglio) con poteri più ampi di quelli attuali sia nei confronti dei ministri sia nei confronti del Parlamento, vengono trasferite in via esclusiva competenze alle Regioni mitigate da un interesse nazionale che può permettere l'intervento dello Stato ma anche aprire frequenti conflitti di competenze. L'opposizione, compatta, ha ribadito la propria scelta: impossibile un dialogo o un confronto, la battaglia continua con il referendum, affidando ai cittadini la valutazione e il vero voto finale su una legge definita una vera "sciagura" per il futuro istituzionale del Paese.

Con questo voto si chiude il percorso che la Lega ha cominciato fin da quando si è affacciata in Parlamento: quindici anni durante i quali il partito di Umberto Bossi (l'ex "senatur" era presente al momento del voto tra il pubblico con la famiglia) ha condizionato ogni scelta all'imperativo di raggiungere questo obbiettivo. E', dunque, il giorno in cui diventa legge la forma di federalismo voluta da Bossi e dai suoi, che è stata ribattezzata "devoluzione" ( lo "scioglimento" dei poteri dello Stato verso le Regioni), anche con la dizione all'inglese, "devolution". Il Senato ha affrontato il dibattito conclusivo, con la Cdl che ha difeso come un grande passo avanti per la democrazia questa legge e lo ha fatto sostenendone la gestione unitaria da parte della maggioranza. In realtà sul cammino di questa riforma ci sono stati tanti strappi e ripetuti momenti di tensione tra gli alleati, risolti alla fine sempre da vertici tra Berlusconi, Bossi e gli altri leader. La Lega ha sempre condizionato il proprio voto su altri provvedimenti e la stessa sopravvivenza della maggioranza all'approvazione della "devolution". La possibile rottura con gli alleati leghisti era un rischio che Berlusconi non poteva permettersi di correre.
E' stato insomma un passaggio non indolore anche all'interno della maggioranza come dimostrano oltre all'astensione di Tabacci e Follini (Udc) nella precedente occasione alla Camera, le dimissioni da AN del Vicepresidente del Senato Domenico Fisichella, annunciate nel corso delle sua dichiarazione di voto in aula in cui ha espresso totale contrarietà alla "devolution".

Comincia ora la grande mobilitazione delle associazioni, dei movimenti e dei cittadini in difesa della Costituzione. E' già stata annunciata dal comitato "Salviamo la Costituzione", presieduto dall'ex Presidente Scalfaro, la raccolta delle firme per indire il referendum confermativo e per sostenere le ragioni del NO alla riforma.
Il referendum è previsto dall'art. 138 della Costituzione quando, come è accaduto questa volta, la Carta venga modificata senza il quorum dei due terzi dei votanti alla Camera e al Senato. Si tratta di un meccanismo di "difesa" predisposto dai Padri Costituenti, che impone al Parlamento una maggioranza ampia per procedere a modifiche della Carta fondamentale che riguarda la vita e le regole di tutti i cittadini. Se, come è accaduto in questo caso, la modifica viene approvata da una maggioranza semplice, è prevista la possibilità di richiedere che venga sottoposta al voto dei cittadini. La richiesta dovrà essere presentata da 500mila elettori o da 5 consigli regionali o da un quinto dei componenti di ciascuna Camera. Per la validità del referendum confermativo sulle leggi di riforma della Costituzione non è previsto il quorum del 50% degli aventi diritto. Il referendum sarà valido anche in caso di bassa affluenza alle urne, quindi nessuno potrà
fare affidamento sull'astensionismo.
La data del referendum sarà certamente dopo le elezioni politiche per via dei tempi tecnici: 3 mesi per raccogliere le firme, un mese per il controllo da parte della Cassazione, poi il governo avrà due mesi di tempo per firmare il decreto che indice la consultazione. A quel punto il Capo dello Stato potrà convocare il referendum in una domenica compresa tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno dal decreto. Quindi ci vorranno almeno 6 mesi, che portano la data possibile a metà di maggio 2006, cioè più di un mese dopo le elezioni politiche previste per il 9 aprile. L'orientamento prevalente in ogni caso è quello di far svolgere la consultazione a giugno, dopo l'insediamento del nuovo Parlamento, l'elezione dei nuovi presidenti delle Camere e del Capo dello Stato.

Per analizzare più approfonditamente il contenuto della Riforma invitiamo a visitare la sezione "Salviamo la Costituzione" che abbiamo predisposto sul nostro sito, con lo scopo di monitorare i vari passaggi della Riforma e di fornire in merito un servizio utile e puntuale ai cittadini che desiderino esserne informati.


La Redazione

 
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