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Ocse: rapporto sull'Italia

La decisione della Commissione Europea di concedere all'Italia l'intero biennio 2006-2007 per risanare la difficile situazione dei conti pubblici sembra offrire al nostro paese un certo margine di manovra nell'impostare la politica economica dei prossimi mesi.
L'entità del disavanzo, che dovrebbe raggiungere il 4,6% nel 2006, e l'imminente scadenza elettorale hanno indotto l'esecutivo di Bruxelles a non imporre manovre correttive già a partire dal 2005, concedendo al governo italiano il tempo necessario per rimediare ad una situazione che certamente richiederà cura e perizia per poter essere volta verso un esito positivo.
Al riguardo appaiono chiarificatrici le parole dello stesso commissario europeo agli affari economici, Joaquim Almunia, il quale ha affermato che la credibilità delle nuove procedure deve misurarsi "sulla capacità di far tornare a crescere l'economia del Paese: nessuno vuole misure così credibili da uccidere l'economia o da risultare inapplicabili".
La strategia di collaborazione con Bruxelles ha inoltre prodotto un importante risultato per quel che riguarda le prospettive del risanamento italiano. Il Patto di stabilità infatti, nella sua nuova interpretazione, prevede la possibilità, per un paese che abbia seguito le indicazioni della Commissione ma che non abbia raggiunto gli obiettivi indicati a causa di una crescita inferiore alle previsioni, di rinegoziare un ulteriore periodo per il rientro del deficit nei parametri. La Commissione ha deciso di offrire al nostro paese questa opportunità, la stessa di cui si sono già avvalse Francia e Germania, prospettando per l'Italia generose previsioni di crescita, che difficilmente potranno verificarsi e che pertanto offriranno al governo italiano lo spiraglio per rinegoziare, alla fine del 2007, una proroga di uno o due anni per rientrare nei parametri.
Per capire quanto siano ottimistiche le previsioni avanzate da Bruxelles basti pensare che per il 2005 sono pari a zero, mentre l'economia italiana dovrebbe retrocedere di uno 0,5% e che rispondono all'1,5% per il 2006, anno per il quale gli esperti ipotizzano invece una crescita dello 0,9%. Si tratta, con tutta evidenza, di una crescita talmente modesta che il minimo imprevisto potrebbe comprometterla spingendo nuovamente il paese in recessione.

Forte della rinnovata collaborazione con Bruxelles dunque l'esecutivo si appresta a varare una manovra finanziaria che se da un lato dovrà tenere in considerazione le esigenze di risanamento evidenziate dalla Commissione, dall'altro non potrà ignorare l'appuntamento elettorale del prossimo anno.
Bruxelles chiede all'Italia un risanamento da 20 miliardi di euro in due anni. A questi 20 devono aggiungersene altri 10 (pari allo 0,8% del Pil) per finanziare il taglio dell'Irap e per gli investimenti. Per il 2006 quindi il governo si muove verso una manovra finanziaria da 15 miliardi di euro, di cui probabilmente 5 proverranno da nuove tasse, cinque dalla lotta all'evasione e cinque da tagli alle spese. Riguardo agli ultimi due punti un accordo all'interno della maggioranza sembra raggiungibile, l'intesa appare invece più ardua per quel che riguarda il reperimento di 5 miliardi di euro mediante l'introduzione di nuove tasse. In proposito una parte della maggioranza (soprattutto Forza Italia) appare fortemente contraria, mentre un'altra parte (An e Udc) sembra puntare verso un aumento della tassazione delle rendite finanziarie o dell'Iva.
Sul tema il Ministro dello Politiche Agricole Gianni Alemanno si è espresso con molta chiarezza:"La questione dell'Irap è centrale" ha dichiarato" ed è un segnale che le imprese aspettano, senza l'intervento sull'Irap non si può parlare di sviluppo. Ci vogliono tagli alle spese e lotta all'evasione fiscale, ma bisogna anche lavorare sul sistema fiscale perché sia più equo e più rivolto allo sviluppo".
Fin qui le decisioni di Bruxelles e quelle del governo, ma qual è il terreno sul quale incideranno? Qual è lo stato effettivo del sistema-Italia?

Per comprenderlo può essere di una qualche utilità far riferimento al rapporto sull'Italia che l'Ocse ha presentato alla fine di maggio e che fotografa con spietata lucidità una situazione certamente non rosea.
Il rapporto dell'Ocse infatti per la prima volta ha annunciato l'ipotesi di una tendenza di crescita negativa, poi confermata dai dati delle settimane successive, dovuta all'azione "di uno scarso aumento della produttività e di una debole competitività".
Gli esperti dell'Ocse hanno individuato in cinque punti fondamentali le debolezze del sistema economico-produttivo del nostro paese.
In primo luogo hanno sottolineato l'alto tasso di evasione fiscale, stimando in 8.399 unità il numero degli evasori totali in Italia per il 2004, per complessivi 10,5 miliardi di imponibili non pagati, invitando il governo a monitorare i piani anti-evasione e ad approntare programmi "vigorosi ed estesi" per combattere evasione ed elusione fiscale.
Secondo l'Ocse poi l'Italia dovrebbe ampliare le quote di ingresso ai lavoratori stranieri, per aiutarli ad inserirsi nell'economia e nella società. Secondo le stime riportate nel rapporto la quota di popolazione straniera residente con permesso è passata dalle 150 mila unità degli anni '70 a quota 2,2 milioni alla fine del 2003. Se consideriamo anche gli illegali e i minorenni il numero sale a 2,7 milioni.
Inoltre l'Ocse lancia un appello per liberalizzare i mercati, sottolineando che "ampie aree nel settore dei servizi sono troppo al riparo dalla concorrenza", mentre se l'Italia abolisse vincoli e barriere alla competizione, il tasso di occupazione crescerebbe del 3%.
Il quarto punto del rapporto riguarda la devolution, che complicherebbe i controlli sui conti pubblici, in special modo nel settore sanitario, compromettendo anche l'efficienza del servizio. Secondo l'Ocse inoltre il comparto avrebbe bisogno di "un maggior livello di compartecipazione privata".
Infine l'analisi dell'organizzazione dei paesi industrializzati denuncia l'eccessiva chiusura del sistema bancario italiano, invitandolo ad una maggiore concorrenza con le banche straniere ed esprimendo "rammarico", ad un anno e mezzo dagli scandali Cirio e Parmalat, per il ritardo nell'approvazione della riforma del risparmio, chiedendo all'esecutivo di "rafforzare la protezione degli azionisti di minoranza" e di "aggiustare la ripartizione delle competenze tra le autorità di vigilanza".
La crudezza del rapporto Ocse di maggio rispecchia i dati presentati pochi giorni prima dal Centro Studi della Confindustria, che presentano una forbice impressionante tra l'andamento in salita della produzione industriale europea e quello in discesa della produzione italiana dal 2002 in avanti. Un divario che inevitabilmente si traduce in una crescita più contenuta del Pil, portando il reddito pro capite italiano al livello degli anni '70, più o meno lo stesso livello medio europeo, ben lontano dal picco del 1986 con un 6% in più rispetto alla media UE.

Gli effetti di una produttività ridotta al minimo si riflettono anche sul livello delle nostre esportazioni. Da questo punto di vista infatti siamo completamente esposti alle turbolenze dei mercati. La nostra unica possibilità di esportare è affidata all'eventualità di un cambio favorevole tra dollaro ed euro. Con un dollaro forte conserviamo competitività sugli altri mercati, con un tasso di cambio contrario invece incontriamo notevoli difficoltà a vendere i nostri prodotti all'estero.
Anche nella prima ipotesi tuttavia non mancano delle controindicazioni. Con un dollaro forte infatti dobbiamo comunque sperare in un prezzo del greggio contenuto, altrimenti, trattandosi di una materia che paghiamo in dollari, la nostra competitività ne risulterebbe comunque danneggiata.
Per completare il quadro occorre ricordare il livello dei tassi di interesse, fermo da circa due anni al 2%. Se consideriamo l'inflazione galoppante degli ultimi anni, in termini reali, i tassi di interesse sono praticamente nulli. Questo spiega l'esplosione di un mercato come quello immobiliare che è finanziato soprattutto grazie al credito delle banche. E' inevitabile che con la possibilità di avere prestiti a costo zero il volume d'affari di questo settore sia aumentato notevolmente, ma cosa accadrebbe se si registrasse un improvviso rialzo dei tassi d'interesse? Probabilmente quello che molti già ora ipotizzano: la bolla speculativa scoppierebbe producendo gravi danni non solo agli imprenditori più attivi in questo settore, ma anche alle banche che li foraggiano e a tutto il settore finanziario.
Oltre a questo c'è da considerare che i bassi tassi di interesse stanno svolgendo l'importante funzione di tenere sotto controllo i conti pubblici, consentendo allo Stato italiano di pagare interessi contenuti sul proprio debito. Un aumento dei tassi renderebbe ancora più arduo l'equilibrio finanziario di un paese come l'Italia già sorvegliato speciale per la politica economica degli ultimi anni e con il più alto debito pubblico dell'Unione Europea, mettendo contemporaneamente in difficoltà l'intero settore produttivo nazionale composto da aziende per gran parte pesantemente indebitate.
Come ha sottolineato Giuseppe Turani su "Repubblica" l'Italia oggi è un "paese in bilico", la cui sopravvivenza economica è consentita da una buona combinazione tra tassi di cambio e tassi di interesse, tuttavia "basterebbe un piccolo spostamento di questa coppia di elementi per determinare improvvisamente una crisi di proporzioni molto vaste". C'è da augurarsi che la maggioranza alle prese con una manovra finanziaria da campagna elettorale e l'opposizione perennemente avvitata sulle proprie dispute interne ne abbiano coscienza.


Davide Pellegrini

 
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