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Giovani e lavoro: per il 60% dei precari mai un impiego stabile

Giovani e lavoro: per il 60% dei precari mai un impiego stabile

Il mercato del lavoro italiano è profondamente cambiato negli ultimi dieci anni, lo rivela un sondaggio Eurispes particolarmente allarmante per le giovani generazioni. Aumentano i contratti atipici, diminuiscono le possibilità di un lavoro stabile su cui poter fare affidamento per poter costruire un autonomo progetto di vita. Veniamo ai numeri.
I due terzi dei precari intervistati dall'Eurispes ha dichiarato di non avere mai avuto un contratto che non fosse atipico, e questo vale per oltre il 60% di quelli tra 26 e 39 anni. La situazione sembra essere scarsamente influenzata dal percorso di studi degli intervistati: l'83% dei precari con laurea ha sempre avuto solo contratti atipici, così come il 56% di coloro che hanno arricchito con un master la propria formazione.

Secondo le più accreditate interpretazioni economiche la flessibilità, nel mercato del lavoro di oggi, è un male necessario, che se da un lato indebolisce le garanzie per il lavoratore all'inizio della sua esperienza professionale dall'altro dovrebbe consentirgli nel tempo di capitalizzare i sacrifici iniziali, acquisendo una maggiore stabilità lavorativa. Le forme contrattuali atipiche insomma dovrebbero rappresentare una sorta di assunzione in prova in vista dell'agognata assunzione a tempo indeterminato.
Tuttavia i risultati del sondaggio Eurispes sembrerebbero smentire, almeno in parte, questo tipo di interpretazione. I dati raccolti attestano che il 60% dei precari lavora con la stessa azienda da più di un anno e un quinto da oltre tre anni. La metà di questi ultimi infine ha un rapporto di lavoro con la stessa azienda da più di dieci anni, configurando una situazione di vero e proprio precariato permanente.

Secondo una ricerca dell'Istat metà dei nuovi assunti, tra il 1993 e il 2003, sarebbe stata inquadrata come atipica e la precarietà occupazionale risulterebbe in crescita in più di un settore produttivo. In particolare nel settore dell'industria manifatturiera gli assunti con un contratto di lavoro part-time, tra il 1999 e il 2004, sono passati dal 2% all'11% mentre i lavoratori con un contratto a termine sono cresciuti dal 4% all'11%. Anche nel settore del commercio il part-time è aumentato notevolmente, dal 1994 al 2004, passando dal 20% al 34%, mentre il numero dei lavoratori temporanei è cresciuto da un sostanziale 0% al 17%. Infine nel settore dei servizi si registra la situazione di maggiore precarietà con il part-time che, dal 1994 al 2004, è passato dal 21% al 45% e il numero di lavoratori a termine che è cresciuto dal 4% al 49%.

Questa situazione non può non riflettersi sulle scelte di vita dei singoli. Solo il 6,5% dei precari intervistati dall'Eurispes ha figli, e appena il 10% può esibire un matrimonio, una convivenza o un divorzio.
Secondo l'Istat il numero di figli con più di trent'anni che vive ancora con i genitori è cresciuto di un quarto in dieci anni, fino a sfiorare il 40%, mentre il dato scende al 17%, uno su sei, se si considerano soltanto gli ultracinquantenni. Del resto non è un caso se il 71% dei precari dichiara difficoltà ad ottenere un mutuo immobiliare e la maggior parte di loro anche a stipulare un normale contratto d'affitto, per l'impossibilità di esibire la prova di un costante introito mensile.
La vulnerabilità economica di chi ha un lavoro precario è inoltre accresciuta dalla discontinuità con cui i lavoratori atipici dichiarano di percepire la remunerazione loro dovuta. Solo il 70% dei precari afferma di ricevere con regolarità lo stipendio alla fine del mese, al contrario quasi un terzo dichiara di essere pagato ogni due o tre mesi oppure a consegna del progetto, o comunque in modo saltuario ed incostante. Ciò rende difficile per i lavoratori atipici perfino l'accesso al credito al consumo. Le finanziarie disposte a concedere un prestito in queste condizioni sono molto poche e in ogni caso, quando lo fanno, un credito di 5 mila euro a 24 mesi ha un interesse vicino al 15 per cento.

I dati riportati non sono certo incoraggianti, ma al di là dei numeri il risultato forse più preoccupante tra quelli emersi dal sondaggio Eurispes riguarda la percezione che molti lavoratori precari sembrano avere del proprio futuro. La maggior parte di loro infatti sembra rassegnata all'impossibilità di avere una vita lavorativa normale e due terzi ritiene che la propria pensione sarà insufficiente per garantirsi una dignitosa sopravvivenza. Molti infine sono convinti che una pensione non l'avranno affatto.
Il livello di civiltà di un Paese dovrebbe misurarsi dalla sua capacità di assicurare un futuro di benessere ai propri cittadini, tuttavia è difficile immaginare il proprio futuro quando non si riesce a costruire il presente.


Paolo Romani

 
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