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I conti pubblici e il nuovo Patto di stabilità

Eurostat, l'Istituto statistico europeo, ha recentemente comunicato che il deficit pubblico italiano è ormai fuori dai parametri di Maastricht. Il deficit ha raggiunto il 3,1% sia nel 2003 che nel 2004, contrariamente al 2,9% e al 3% contabilizzati dal governo. Conseguentemente cambiano anche le previsioni sul debito pubblico considerato al 106,3% del Pil nel 2003 e al 105,8% nel 2004 e che ora Eurostat colloca rispettivamente al 106,5% e al 106,6%. Ad aggravare la situazione giunge la temuta certificazione dell'Ocse secondo cui quest'anno il Pil potrebbe chiudere in negativo attestandosi ad un meno 0,6%, con effetti inevitabili sul rapporto deficit-Pil che dovrebbe salire alla fine del 2005 al 4,4% ed il prossimo anno, senza i necessari interventi, addirittura al 5,1%. Il commissario europeo Joaquin Almunia parla apertamente della necessità di avviare la procedura d'infrazione per "deficit eccessivo" nei confronti dell'Italia. La questione sarà valutata a Strasburgo il 7 giugno, quando la Commissione europea presieduta dal portoghese Josè Manuel Durao Barroso approverà il rapporto di Almunia e lo trasmetterà ai ministri finanziari che avranno modo di discuterne il contenuto in un incontro successivo che si svolgerà presumibilmente nel mese di luglio.
Per affrontare l'emergenza l'Ocse chiede al nostro paese una manovra aggiuntiva da 24 miliardi di euro che tuttavia il governo sembra intenzionato a non varare. La linea dell'esecutivo in materia economica è stata protesa, negli ultimi mesi, verso il tentativo di sfruttare l'applicazione meno rigorosa dei parametri del Patto di stabilità consentita dai nuovi accordi raggiunti alla fine di marzo a Bruxelles. Ora questa strategia appare drammaticamente insufficiente e probabilmente non servirà all'Italia ad evitare le sanzioni previste dal Patto. Tuttavia, in un momento in cui le scelte economiche del governo sembrano giunte ad un bivio decisivo per il futuro ed il benessere del paese, ai fini di una comprensione approfondita di quanto accadrà nei prossimi mesi, non può essere trascurata un'analisi di quanto stabilito da quello che, forse impropriamente, è stato definito il nuovo Patto di stabilità e delle procedure che esso prevede per le ipotesi di infrazione.
La riformulazione del "Patto di crescita e di stabilità", concordata dai ministri delle finanze europei e ratificata dal Consiglio UE del 22 e 23 marzo, rappresenta, in materia di politica economica, uno dei fatti più rilevanti degli ultimi mesi.
Come ha sottolineato il ministro delle finanze austriaco Karl-Heinz Grasser, rappresentante dei Paesi che si sono battuti per la conservazione dell'originario rigore del Patto, il nuovo accordo raggiunto in sede europea lascia intatto il limite del 3% per il rapporto deficit/Pil e quello del 60% per il debito pubblico, limitandosi a rivisitarne i criteri di applicazione.

In particolare la riformulazione del Patto prevede una nuova procedura nell'ipotesi di sforamento del tetto del 3% da parte di un Paese membro. In questo caso infatti, ottenuti i dati da Eurostat, spetta ancora alla Commissione UE decidere se inviare un rapporto all'Ecofin per l'apertura della procedura d'infrazione, ma, una volta ricevuta la segnalazione, l'invio di una raccomandazione nei confronti del Paese membro rientra nell'esclusiva competenza dell'Ecofin. Le modifiche apportate sanciscono quindi un sostanziale trasferimento dalla Commissione all'Ecofin del potere di decidere se un Paese abbia violato i vincoli economici previsti dal Patto. Per di più questi ultimi potranno essere interpretati con maggiore flessibilità rispetto al passato, valutando con ampia discrezionalità i motivi economici alla base dell'andamento negativo dei conti.
Nello specifico il nuovo Patto fornisce agli esecutivi nazionali varie ragioni per giustificare il superamento del tetto del 3% nel rapporto tra deficit di bilancio e prodotto interno lordo. Si tratta dei cosiddetti "fattori rilevanti", una formula alquanto generica che comprende diverse voci di bilancio: dagli aiuti allo sviluppo economico, chiesti dalla Francia, agli incentivi per gli investimenti pubblici, voluti dall'Italia, dalle spese per la ricerca e l'innovazione ai costi sostenuti per "raggiungere comuni obiettivi europei". Tra i "fattori rilevanti" rientrano inoltre gli sforzi di consolidamento delle finanze nei periodi di crescita, l'andamento del ciclo economico (che se negativo comporterà maggiore tolleranza) e perfino i costi "per l'unificazione europea, se ha avuto un effetto negativo sulla crescita e l'andamento dei conti pubblici di un Paese". Una norma, quest'ultima, fortemente voluta dalla Germania, mentre i nuovi paesi dell'Est hanno ottenuto un'attenzione speciale per le spese finalizzate alla ridefinizione dei sistemi pensionistici.
La riformulazione del Patto inoltre prevede ancora che il superamento del limite del 3% debba essere "eccezionale" e "temporaneo" e che il deficit debba restare "vicino al 3%", senza fornire tuttavia indicazioni sulla corretta interpretazione da dare al termine "vicino".

Novità forse anche maggiori riguardano però i tempi della nuova procedura. Se l'Ecofin infatti decide di inoltrare la raccomandazione nei confronti del Paese membro, quest'ultimo ha sei mesi di tempo (contro i quattro di prima) per preparare un pacchetto di misure destinate a correggere i suoi conti. Il termine per correggere un deficit eccessivo è costituito dall'anno successivo alla sua identificazione (in genere quindi due anni dopo l'avvenuta infrazione), ma in circostanze particolari può essere prorogato di un anno. Inoltre, se durante la procedura, accadono eventi economici negativi inattesi e se il Paese membro ha adottato misure di correzione effettive, è ammessa la ripetizione della procedura. Ciò significa che l'intera procedura, in linea teorica, può prevedere per il singolo Paese fino a cinque anni di tempo per rientrare nel limite del 3%.
Riguardo invece al controllo del debito pubblico resta intatto il limite del 60% rispetto al Pil, ma la valutazione della riduzione del debito non si baserà su criteri quantitativi e sarà effettuata soltanto in "termini qualitativi". Ferma restando, per i paesi a basso debito e alto potenziale di crescita, la possibilità di sforare, nel medio termine, fino all'1% del Pil (contro lo 0,5% precedente).

Concludendo le modifiche introdotte rispondono ad un'esigenza reale. L'eccessiva rigidità del Patto di stabilità infatti rendeva difficile ai paesi membri realizzare quei programmi di riforma che inevitabilmente nel breve periodo producono un aumento dei costi, ma che, nel lungo termine, si rivelano benefici per uno sviluppo economico ispirato a criteri di modernità ed efficienza.
Tuttavia il trasferimento dei poteri decisionali, riguardo al rispetto dei criteri di stabilità, dalla Commissione UE all'Ecofin e la vaghezza di alcuni termini di riferimento come "crescita a medio termine", "eventi inattesi", "importanti riforme strutturali" alimentano il sospetto di una rilettura del Patto voluta soprattutto dai paesi più influenti per sottrarsi alla vigilanza economica di un'autorità indipendente e poter valutare in modo autonomo e con ampi margini di discrezionalità se e quando comminare sanzioni a chi pone in essere condotte non virtuose.
Non a caso l'opportunità delle modifiche introdotte è stata sostenuta soprattutto da paesi come la Francia e la Germania, che sono avviati ad uno sforamento del 4% e l'Italia, il cui rapporto deficit/Pil sembra destinato a superare il 3%, mentre le resistenze maggiori sono venute da paesi meno potenti, come Austria, Olanda e Finlandia, che in un contesto come quello dell'Ecofin, in assenza di saldi criteri interpretativi, avranno meno probabilità di ricevere pareri favorevoli ai propri eventuali eccessi di spesa.
Nonostante questo, come ha sottolineato Franco Bruni in un articolo pubblicato da La Stampa "il Patto rimane un'occasione di cooperazione e di controllo reciproco dei governi". C'è da augurarsi che la vigilanza sui conti dei singoli Paesi avvenga in modo preventivo, come sta accadendo per il caso italiano, non riducendosi ad una mera gestione degli esuberi di bilancio, e che si esigano serietà e trasparenza nella documentazione degli eccessi di spesa, in modo tale da sottrarre i Paesi maggiori alla tentazione di essere fra loro reciprocamente indulgenti e allontanando il sospetto di un'applicazione del Patto non del tutto neutra e imparziale.


Davide Pellegrini

 
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