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Cinema: Volver. L'importanza di tornare alle radici -
Tutto ha inizio nella mia mente e nella mia memoria da quando sono andata a vedere il film di Pedro Almodovar : Volver. Sera, aria che inizia a riscaldarsi, primi lembi di pelle che si scoprono e un piacevole chiacchiericcio durante la fila per fare il biglietto, ma fino a qui nulla di nuovo. Entriamo nella sala stracolma (siamo ancora durante la settimana del Festival di Cannes) e ha inizio il film.

Due sorelle, Sole e Rosamunda (interpretata da Penelope Cruz) quest'ultima con una figlia adolescente, rimaste senza madre e senza padre, si recano al loro paese natale per accudire la tomba di famiglia e per trovare la vecchia zia, quasi cieca e quasi alla fine dei suoi giorni. Un evento scatenante dà inizio ad un ritmico e quasi favolistico svolgersi di eventi: la figlia di Rosamunda, quando la madre non è in casa subisce una tentata violenza da quello che crede essere il padre e lo uccide con un coltello da cucina. Al ritorno della madre la figlia confessa sconvolta e la madre escogita un piano: nascondere il marito in un frigorifero e seppellirlo successivamente.
Contemporaneamente un altro accadimento si intreccia alla trama: la madre delle due donne non è morta come si credeva, ma è viva e torna per tentare di riparare ad un grande dolore che ha colpito sia lei che una delle figlie. Un'altra violenza si era abbattuta su questa famiglia di un paesino della Spagna: la giovane Rosamunda era stata violentata dal padre e la figlia che questa aveva deciso di tenere era il frutto di questo rapporto incestuoso.

Detta così, con questo breve e per nulla completo stralcio di trama, questa potrebbe sembrare quasi una storia scontata, banale e a volte grottesca: una violenza che si tramanda di generazione in generazione, una madre che torna dal passato quasi come un fantasma per recuperare il rapporto con la figlia, e una ragazza adolescente alle prese con una splendida madre e con un segreto immenso ed incommensurabile da portare dentro. Dunque: perché andare a vedere questo film? Presto detto: l'importanza e la bellezza di questa pellicola è possibile coglierla andando oltre e lasciandosi andare al ritmo degli eventi, delle parole e dei corpi, a volte sincopato, a volte lento, con le sue pause e i suoi tempi, scanditi visivamente e psicologicamente negli attori e poi nello spettatore.
Quello che porta con sè il film arriva alla memoria più primitiva di ciascuno andando a toccare quelle corde, che vibrando in maniera catartica, hanno a che fare con il femminile che è incarnato, letteralmente "embodied" in ciascuno di noi.

Pensare al femminile non significa riduttivamente pensare al solo essere donna ma a tutto quanto appartiene ad un mondo, che passa in un gioco di sensi, pensieri, sentimenti e azioni dall'"uomo" alla "donna" stessa attraverso ogni età e ogni cultura trasversalmente e atemporalmente. Tutto è Femmina nel senso pieno e forte del termine in questo film: i colori, così accesi, così forti, quasi al limite di quella che si pensa socialmente essere considerata volgarità, i tratti del corpo vengono accompagnati da leggere stoffe che si posano sui dolci e morbidi fianchi, ora vestiti per vivere il mondo degli odori e dei sapori della cucina, ora per uscire e attrarre su di sé lo sguardo del pubblico ammirante ed estasiato. L'istinto, così materno, così pregno di passione ma anche così violento e spietato nel suo divenire, crescere e affrontare persone e avversità. E poi le donne stesse, prime protagoniste che attraversano e vivono questa storia, come tutte le storie della vita, ad ogni età con tutti i ruoli possibili e vivibili, al limite della sofferenza massima e della gioia estrema, consapevoli sempre di portarsi dentro, e di mostrare fuori, un modo di essere nel mondo, un modo di essere donne, consapevoli che è sempre possibile tornare (volver) nel proprio passato personale e storico per ripercorrere i passi, rivedere posizioni, senso delle cose e attraversare il tempo.


Chiara Nicoletti
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